Cos’è la carbon footprint e perché è così importante per la lotta al cambiamento climatico
L’impronta di carbonio (carbon footprint) è il parametro che meglio stima le emissioni in atmosfera di gas serra di origine antropica, principalmente biossido di carbonio (CO2), metano e protossido di azoto, e permette di determinare gli impatti ambientali che le attività generate dall’uomo hanno sul climate change e, quindi, sul riscaldamento globale del Pianeta dai potenziale effetti catastrofici. Oggi tutti i Paesi del mondo stanno adottando strategie per ridurre la produzione di greenhouse gas (GHG), attraverso obiettivi vincolanti che evitino un aumento fino a 4 gradi entro il 2100.
Il 2 agosto 2023 cade l’Earth Overshoot day
Se non bastassero i danni causati dagli eventi climatici estremi sul nostro territorio (caldo africano e incendi al Sud e tornadi e alluvioni al Nord) ad avvisarci su quanto il surriscaldamento terrestre stia pesando sul cambiamento climatico, ci pensa ogni anno il Global Footprint Network che calcola nell’Earth Overshoot day, la giornata in cui il nostro pianeta Terra va in deficit, ossia il giorno in cui la domanda di risorse della popolazione mondiale supera l’offerta produttiva di risorse rinnovabili dell’anno.
Il calcolo dell’organizzazione internazionale no-profit tiene conto dell’impronta ecologica degli umani e della biocapacità del Pianeta, così è posssibile calcolare anche l’Earth Overshoot day di ciascun Paese: per il Canada, Stati Uniti ed Emirati Arabi cade il 13 marzo mentre per l’Italia cade il 15 maggio 2023. Ai nostri ritmi servirebbero 2,8 pianeti Terra per soddisfare il fabbisogno mondiale. In media a livello globale stiamo consumando l’equivalente di 1,7 pianeti all’anno, che potrebbero diventare 2 entro il 2030.
Come calcolare la carbon footprint?
È possibile misurare l’impronta del carbonio di un individuo, di una città, di una popolazione, ma anche di una azienda o di un prodotto.
Per valutare la carbon footprint di un’azienda esistono due standard internazionali, uno emesso dal WRI/WBCSD (GHG Protocol) e l’altro dall’ISO 14064-1:2018 che permette alle organizzazioni di quantificare le proprie emissioni di greenhouse gas al fine di attuare delle politiche di Carbon Management e comunicare il proprio impegno in tema di sostenibilità ambientale ai propri stakeholder.
Per valutare la carbon footprint di un prodotto o servizio è stata sviluppata una norma tecnica che quantifica le emissioni di gas ad effetto serra associate all’intero ciclo di vita di un prodotto: UNI CEN ISO/TS 14067:2014 Gas ad effetto serra – Impronta climatica dei prodotti (the carbon footprint dei prodotti) – Requisiti e linee guida per la quantificazione e comunicazione, entrata in vigore l’11 settembre 2014.
È possibile attuare uno sviluppo che tenga conto della sostenibilità ambientale?
È difficile ma possibile e per farlo dobbiamo spostare verso la fine anno la data dell’Earth Overshoot Day. Il commissario europeo per l’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, ci ricorda che la via d’uscita è il Green Deal europeo e che “economia circolare, ripristino della natura, energie rinnovabili fanno tutti parte della stessa equazione”.
L’Unione Europea nella legge europea sul clima del 2021 ha indicato l’obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 e come obiettivo finale la decarbonizzazione del sistema energetico dell’Unione europea, con il fine di ottenere “zero emissioni di gas serra nette entro il 2050”.
Cosa fare per ridurre la carbon footprint in azienda?
Le emissioni di carbonio generate dalla componente IT delle aziende sono più consistenti di quanto si possa pensare. I settori delle comunicazioni, dei media e dei servizi sono quelli che contribuiscono maggiormente alle emissioni di gas serra legate alla tecnologia rispetto agli altri settori.
Un recente studio a cura di McKinsey & Company ha evidenziato che in generale tutti i prodotti tecnologici utilizzati in azienda hanno un forte impatto sulla CO2 footprint che complessivamente è stimata all’1% del carbon print globale, circa la metà di quanto emettono l’aviazione o il trasporto marittimo (report “The green IT revolution: a blueprint for CIOs to combat climate change“).
L’analisi rivela che il maggior responsabile della carbon imprint sono gli end-user device (laptop, tablet, smartphone e stampanti) che generano a livello globale da 1,5 a 2 volte più emissioni di carbonio rispetto ai data center.
Gli smartphone hanno un ciclo di aggiornamento medio di 2 anni, i laptop di 4 anni e le stampanti di 5 anni, mentre i server vengono sostituiti in media ogni 5 anni da circa l’80% delle aziende.
Lo studio di McKinsey & Company sottolinea come i CIO hanno una grande responsabilità nel migliorare notevolmente la carbon footprint aziendale senza effettuare investimenti significativi e persino risparmiando denaro con alcuni accorgimenti:
- acquisto di dispositivi più ecologici
- acquisto di un minor numero di dispositivi
- estensione del ciclo di vita di ciascun dispositivo
- razionalizzazione dei servizi IT
- migrazione ponderata e utilizzo ottimizzato del cloud
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I servizi di hosting green sui nostri server sono carbon-neutral: utilizziamo la nostra l’energia pulita da fonti rinnovabili.
Per offrire un servizio di hosting green è necessario compensare la CO2 emessa per far funzionare i server in sicurezza.
Per farlo, si hanno due possibilità per raggiungere gli obiettivi di carbon neutrality:
- Affidarsi a soluzioni di terze parti e compensare le proprie emissioni acquistando crediti di carbonio (carbon credits), oppure stipulando un contratto di fornitura di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.
- Provvedere alla compensazione in autonomia finanziando la riforestazione o producendo direttamente energia elettrica da fonti rinnovabili come luce solare, vento, acqua e calore geotermico.
AGS per i propri servizi di hosting ha scelto di produrre direttamente l’energia, installando pannelli fotovoltaici di ultima generazione e batterie di accumulo LiFePO4 con inverter integrato per coprire l’intero fabbisogno energetico della server farm e dell’azienda e poi reimmettere in rete il surplus generato dall’energia solare.
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